venerdì 30 dicembre 2011

Le politiche per l’infanzia: servizi sociali ed opportunita’ educative

Gian Carlo Sacchi

In tempi di vacche magre, nonostante l’UE mantenga il punto sugli standard dei servizi prescolastici, stiamo assistendo a pericolose inversioni di tendenza circa gli investimenti pubblici, la crescente difficoltà economica delle famiglie di accedervi ed anche la qualità delle prestazioni viene commisurata all’emergenza soprattutto dettata dalle richieste dei genitori che lavorano e dalle differenti modalità di risposta talvolta di dubbia qualità.
Pur senza sostegni economici la normativa vigente, ancorché abbastanza disorganica,contempera i servizi educativi da 0 a 6 anni tra quelli “essenziali” per garantire i diritti di cittadinanza,inseriti tra le “funzioni fondamentali” dello stato e degli enti territoriali per i quali è possibile intervenire mediante una “compartecipazione” alle entrate fiscali.
Il precedente governo non avendo voluto applicare il nuovo titolo quinto della Costituzione ed il federalismo fiscale di cui tanto si è vantato ha messo alle corde gli interventi per l’infanzia, non solo togliendo risorse appellandosi alla condizione di non obbligo d’istruzione, ma impedendo con il patto di stabilità che anche gli enti locali potessero impegnarsi su tali fronti, scaricando tutti gli oneri sulle famiglie alle quali si è cercato di prospettare soluzioni interne alle stesse come più adeguate sul piano pedagogico.
Sta di fatto che ritornano le liste di attesa, anche la dove erano quasi esaurite, ed il sistema nel suo complesso si impoverisce.

I SERVIZI SOCIO – EDUCATIVI INTEGRATI PER LA PRIMA INFANZIA

In Italia manca una legge di indirizzo ordinamentale sui nidi di infanzia
che ne riconosca la natura socioeducativa e li sottragga all'ambito dei
servizi a domanda individuale. Quella dell’Emilia Romagna del 2000,aggiornata nel 2004,continua a essere un punto di riferimento, anche perchè definisce un concetto di “sistema integrato” dei servizi da 0 a 3 anni, comprendente quelli domiciliari ed altri interventi che cercano di andare incontro alle variegate istanze familiari, consentendo una pluralità di offerte,mantenendo però all’ente locale il ruolo della programmazione pubblica e del riscontro sulla qualità della proposta.
E’ da valutare se vada intrapresa un’azione legislativa a livello nazionale o possa bastare l’applicazione di quanto già esistente nonché la definizione dei previsti “livelli essenziali delle prestazioni” per fare spazio alla programmazione regionale e territoriale ed accreditare diversi soggetti e modalità di intervento.
Per i percorsi educativi 0 – 3 occorre individuare e descrivere diverse tipologie di servizi in modo da costruire un quadro istituzionale di riferimento fondato sull’idea regolativa e la pratica coerente di un sistema integrato, come risposta professionalmente garantita al “bisogno primario” e presupposto necessario per la funzionalità del servizio stesso.
Un primo nucleo di indicazioni ordinamentali è definito dalla Conferenza Stato - Regioni per quanto riguarda le sezioni primavera, 24 - 36 mesi.
Gli strumenti operativi di analisi e progettazione dovranno perciò riferirsi ad una “sostenibile” pluralità di percorsi formativi adottati dalle famiglie di cui l’Ente Locale dovrà effettuare una ricognizione periodica, per tipologie organizzative,in relazione all’età dei bambini, in modo da costituire quel sistema pubblico integrato dove accanto ai tradizionali nidi ci sarà una rete di opportunità a carattere associativo e informale come risposta istituzionale di una pluralità di tipologie equivalenti sul piano della qualità dell’offerta e su quello dei costi per le famiglie.
Occorrerà individuare sia gli standard gestionali, organizzativi e professionali per le diverse tipologie di servizi, coerenti con il principio della continuità educativa orizzontale (cooperazione educativa)e verticale (curricolo formativo), sia i livelli di formazione, come strumento di autocontrollo della qualità educativa e di supporto e tutela di tutti i soggetti della relazione di cura in un’ottica di responsabilità personale,civile e professionale, a cominciare da un quadro articolato di titoli di studio per gli operatori validi su tutto il territorio nazionale.
Il servizio proposto in chiave universalistica dovrà tenere conto della sostenibilità economica del bilancio dello stato e degli enti territoriali, nonché del contributo delle famiglie.

LE SCUOLE D'INFANZIA NEL SISTEMA NAZIONALE DI ISTRUZIONE. LEGGE 62/2000.

La scuola dell’infanzia (3-6) è entrata a pieno titolo a far parte del sistema nazionale di istruzione e formazione sancito dalla legge 62/2000, secondo l’ottica della generalizzazione. Fin dall’istituzione di quella statale si è trattato di un sistema integrato tra quest’ultima e la paritaria a sua volta divisa tra gestione privata e degli enti locali. Tale sistema integrato è regolamentato da ordinamenti nazionali e indicazioni per il curricolo,sono previsti organi di controllo specifici; alle Regioni è attribuita la programmazione dell'offerta. Per i docenti sono stati individuati percorsi di formazione universitaria e titoli di studio appositi.
Una parte del personale è a carico del bilancio dello Stato;la scuola dell’infanzia rientra nell’organizzazione degli istituti (comprensivi) del primo ciclo di istruzione, in continuità con i servizi per la prima infanzia e con la scuola primaria e sono possibili accordi e convenzioni a livello territoriale per l’erogazione dei finanziamenti pubblici a soggetti privati a seconda della configurazione dell’offerta medesima.
I tagli del precedente governo hanno diminuito il tempo scuola al solo orario antimeridiano, il completamento è spesso lasciato a figure professionali non provviste di una formazione adeguata,riducendo così un servizio riconosciuto come formativo al solo accudimento. Come per i nidi c’è la difficoltà di mettere a fuoco con adeguati strumenti didattici e organizzativi gli anticipi in ingresso e in uscita.
L’applicazione del nuovo titolo quinto della Costituzione è, come si è detto, l’occasione per consolidare tale grado di scuola nel percorso che tutela il diritto allo studio.

LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI

La recente legge sul federalismo fiscale (49/2009)stabilisce che gli interventi per l’infanzia (0-3,3-6)rientrano tra le funzioni fondamentali e quindi finanziabili interamente da parte dello Stato, tramite interventi diretti (piani triennali/l.1044 – 1971 per i nidi e finanziamenti a carico del bilancio del MIUR per quanto riguarda il personale e il fondo di istituto per le scuole statali, nonché contributi alle paritarie)e la compartecipazione alle entrate fiscali da parte di regioni ed enti locali(DPR 68/2011), a condizione, come si è detto, che lo Stato emani la legge sui Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP). La definizione di tali livelli dovrà riguardare l’intero sistema educativo di istruzione e formazione, statale e paritario.
Le politiche fiscali però non possono essere disgiunte dai modelli di governo del servizio e dovranno misurarsi con la ricerca di equilibri tra autonomia e diversità, equità e omogeneità, comparazione internazionale e obiettivi europei, crescita della persona e sviluppo economico e sociale.
Nell’orizzonte delle prestazioni non c’è, infatti, la sola dimensione economica: c’è anche quella educativa che orienta verso la qualità pedagogica e didattica dei processi formativi. Il linguaggio dei LEP dovrà dunque servire non solo ad esplicitare gli elementi essenziali (imprescindibili) che vanno in ogni caso finanziati, ma anche a far convergere i punti di vista dei vari soggetti che operano per questa finalità sul territorio all’interno delle scuole, degli enti locali e della società, per evitare che il superamento del centralismo provochi dispersione o distrazione di risorse, in quanto in questo tipo di servizio formativo il valore dei risultati finali è legato al valore del processo che ad essi conduce.
Prima di tutto occorre mettere a punto le competenze istituzionali (applicazione del titolo quinto) e pensare ai LEP in relazione alla loro specificità (0 – 3/3 – 6) pur in continuità con la filiera scolastica e formativa (long life learning), nell’ottica del “multi governo”.
La spesa perciò va smontata in tutte le componenti e livelli di amministrazione e poi ricostruita attraverso gli altrettanti livelli territoriali di imposizione fiscale.
In altre parole i LEP, anche nei limiti di compatibilità dettati dai vincoli di finanza pubblica, non possono essere ricompresi in una definizione a priori della spesa; le dinamiche finanziarie vanno studiate, programmate e monitorate in modo partecipato nell’ambito delle funzioni indicate con intese Stato – Regioni. In gioco non c’è soltanto l’efficienza del sistema, ma la crescita delle persone e lo sviluppo del Paese.
I LEP devono assicurare uguaglianza su tutto il territorio nazionale, non si tratta di livelli minimi da misurare secondo l’ottica dei risultati, ma imprescindibili secondo wuella dei diritti, pur senza rinunciare al confronto sul raggiungimento degli standard.
I LEP partono dunque dai diritti e non dai costi, anche per evitare che il calo delle risorse deprima la qualità del servizio, ma non bisogna nemmeno essere velleitari in quanto la difficile compatibilità con la spesa pubblica potrebbe incidere negativamente su territori disagiati anche oltre la “perequazione”.
La garanzia dei LEP infatti non può realizzarsi in assoluto, a prescindere dalla compatibilità finanziaria nazionale. E’ dunque necessario trovare un equilibrio tra i conti pubblici ed il riconoscimento ai cittadini di standard quantitativi e qualitativi nell’offerta dei servizi.
I LEP dovrebbero costituire il riferimento a cui ancorare la decisione partecipata sulla dimensione del fondo complessivo da dedicare al settore, comprendendovi tutti i livelli di governo, da ripartire per “quota capitaria” in rapporto agli aventi diritto. Enti locali, scuole e privati hanno la possibilità di integrazione utilizzando ulteriori risorse proprie.
I LEP funzionano dunque da ancoraggio a cui riferire nel tempo la determinazione di quello che si potrebbe definire fabbisogno nazionale standard per il comparto. Poiché però la Costituzione (art. 119) prescrive che il finanziamento garantito dallo Stato venga assegnato a ciascuna regione senza vincoli di destinazione, queste dovranno essere sottoposte a monitoraggio e verifica ex post, attraverso un sistema di indicatori, circa la loro effettiva capacità di erogare i LEP in condizione di efficienza e appropriatezza nell’utilizzo delle risorse.
I LEP andranno rivisti periodicamente assieme ai meccanismi di determinazione della quota capitaria, sulla base dei risultati conseguiti ed in rapporto all’evoluzione storica e sociale.