venerdì 8 ottobre 2010

Nidi d'infanzia oggi. La strada di Modena

Intervista ad Adriana Querzè, Assessore al Comune di Modena.

A cura di Battista Q. Borghi


Modena è stata negli anni Settanta e Ottanta una delle città che si è proposta come modello, nella quale cioè in modo più forte si sono sviluppati, fra gli altri, i servizi zero-sei, le esperienze di avvio dei nidi e delle scuole dell’infanzia.

Esisteva una linea politica molto chiara: realizzare i servizi a prescindere dall’intervento dello Stato. Non è casuale, ad esempio, che i nidi siano stati aperti prima della L.1044/1971, che le scuole dell’infanzia si siano avviate prima dell’istituzione della scuola materna statale prevista della legge 444/1969. Lo stesso accadde per la scuola a tempo pieno che, in realtà, partì grazie ad interventi realizzati dal Comune, prima dell’emanazione della L.820/1971.
Questa scelta, dal punto di vista del dibattito e della riflessione che apre, è molto “moderna”. Ci si sta ancor oggi chiedendo quali debbano essere i confini degli interventi dei Comuni, tra federalismo, scelte, supplenze rispetto ad uno Stato che si ritira dai servizi educativi e riduce l’offerta formativa. In cinquant’anni di interventi in campo educativo l’Amministrazione è comunque riuscita a sviluppare azioni, riflessioni, stili di lavoro che, per tante ragioni, ci consentono di parlare di un “modello Modena”.

Oggi tuttavia la situazione è cambiata …

Io credo che il “modello Modena” esista ancora, e continuiamo a lavorare per far sì che il modello della prima ora evolva e transiti alla luce di una situazione storica, economica e culturale completamente cambiata.

Un esempio?

Una considerazione sul bilancio: Modena continua a investire risorse ingenti sui servizi zero-sei e non solo: investe ampiamente sul tema dell’educazione in senso lato. Voglio dare qualche parametro: la metà del bilancio complessivo del Comune di Modena è dedicata al sociale e all’educazione. Di questo investimento di risorse, circa la metà è specificamente destinata a questo assessorato.
Che cosa sta dentro a questo comparto del bilancio comunale?

Ci sta il mantenimento dei nidi e delle scuole dell’infanzia: per entrambi i gradi educativi continuiamo a mantenere circa il trenta per cento della gestione diretta. Ci sono il servizio di ristorazione scolastica, i trasporti, gli interventi sui disabili con personale educativo dai nidi alle superiori. Si tratta di un investimento di circa quattro milioni e cinquecentomila euro: anche questo fa parte del modello Modena, un’attenzione forte nei confronti della disabilità. C’è anche quello che noi definiamo Patto per la scuola, cioè un insieme di linee di indirizzo che consentono l’attuazione di accordi applicativi tesi a garantire un trasferimento importante di risorse alle scuole statali non solo per quanto riguarda gli “oneri obbligatori” ma, soprattutto, per interventi connessi alle proposte formative, ai progetti , alle opportunità per gli studenti. Tutto questo si traduce in un sostegno concreto che l’Ente locale dà alle scuole statali di ogni ordine e grado sia per la programmazione dell’offerta formativa che per le situazioni di emergenza: ricordiamo che le scuole vantano crediti nei confronti del ministero ammontanti a circa duecentomila euro per ogni singola istituzione scolastica: noi non solo forniamo liquidità di cassa che, ad esempio, consentire ai dirigenti scolastici di pagare i supplenti, ma continuiamo a garantire la realizzazione della progettualità programmata.

Torniamo allo zero-sei: in che modo si sta evolvendo il modello?

Innanzi tutto tenendo conto di ciò che noi chiamiamo sostenibilità. La sostenibilità è fondamentale anche rispetto ai ragionamenti che stiamo facendo sul federalismo. Diritti per tutti coniugati a modelli che siano sostenibili per la finanza locale. Per noi sostenibilità ha significato tentare di costruire un modello valorizzi la sussidiarietà, che valorizza l’impegno di soggetti gestori altri rispetto all’Ente Locale e la governabilità che tiene in capo all’Ente locale il compito di regolare il sistema. Per quest’ultima caratteristica del modello continueremo a gestire direttamente circa il 30% dei nidi e delle scuole dell’infanzia. Il governo di un sistema misto, infatti, è un compito che non si può svolgere senza rimanere dentro ai processi, senza la possibilità di capire quali sono i nodi critici, le leve attraverso le quali è possibile chiedere e garantire qualità. Crediamo che questo sia importante perché è solo nel pubblico, se se ne ha la volontà, che si può garantire in modo sistematico la qualità.

Vale a dire?

Per me la ragione è molto semplice: nel sistema di scuole e servizi educativi comunali continua a esserci ciò che qualcuno chiama “spreco” e che io chiamo “allocazione di risorse” che, in campo educativo, sono l’unica condizione per poter sperimentare e ricercare senza l’esigenza del rientro economico. Facciamo un esempio. Sappiamo tutti che le scuole possono andare avanti anche senza la compresenza, istituto che raddoppia il costo del servizio erogato. Però con la compresenza, gestita in un certo modo - questa è la precondizione - si possono sperimentare modalità diverse di conduzione delle attività, percorsi differenziati, ecc.
Un altro esempio. L’alto numero di ore di formazione annue che noi riserviamo agli insegnanti ed educatori comunali è lo strumento che consente di avere a che fare con professionisti colti, con persone che sono dentro alla contemporaneità per ciò che riguarda l’educazione e la ricerca in educazione. Si può anche limitare, o azzerare come avviene nella scuola statale, il numero di ore di formazione che ha un costo rilevante, ma ciò produce risultati prevedibili.

Perché il privato non può fare queste cose …

Come già detto, il privato non le può fare perché costano. In un settore così poco remunerativo come quello educativo - nessuno aprendo nidi diventa ricco - il privato, per far quadrare i conti, deve ridurre gli investimenti rispetto ad alcune operazioni . Noi stiamo lavorando per trovare un mix, un equilibrio fra queste esigenze in modo che in un sistema ci siano esperienze diverse, ci siano sforzi di miglioramento dell’efficienza che possano aiutare il pubblico e ci sia l’agio dello “spreco” che in educazione può diventare investimento, nel senso che una scuola che fa fatica a coprire l’orario di apertura e dove gli insegnanti si scambiano informazioni sulla porta, non ha le condizioni per produrre davvero qualità.

Entriamo nel merito: in che modo governate questo sistema?

Intervenendo in due ambiti.
Il primo è quello dell’esternalizzazione: nidi in convenzione con un accordo tra Comune ed ente gestore; nidi appaltati con affidamento della gestione mediante gara pubblica in un immobile comunale; definizione e controllo degli standard qualitativi offerti; omogeneizzazione di alcune procedure quali, ad esempio, i criteri di ammissione ai servizi 0/6 e il centro unico comunale di iscrizione per le scuole dell’infanzia.
Il secondo è quello della “permeabilizzazione delle parti del sistema. Esiste, ad esempio, un Ufficio qualità del Comune di Modena che si occupa anche dei nidi e delle scuole dell’infanzia appaltati e convenzionati.
Pochi mesi fa, insieme ai gestori dei nidi convenzionati, abbiamo elaborato le linee guida sulla formazione degli educatori, impegnandoci sia a co-costruire percorsi formativi comuni per i dipendenti comunali e dei nidi convenzionati e appaltati, sia aprendo questi percorsi quindi sgravando le imprese dai costi diretti della progettazione e della gestione.

Che cosa state rilevando?

Stiamo rilevando una cosa che tutti sanno e che pochi dicono, e cioè che il tema della esternalizzazione (e quindi delle convenzioni e degli appalti) è sicuramente utile agli Enti locali perché riescono a fornire servizi ad un prezzo più basso.

Chi paga, alla fine, questa differenza di costo?

I servizi appaltati e convenzionati possono funzionare anche molto bene ma coloro che pagano i minori costi del servizio erogato sono i lavoratori che, in base ai contratti nazionali, vengono pagati poco e spesso sono precari.
Credo che questo aspetto debba essere tenuto molto presente: con l’esternalizzazione si realizzano obiettivi di espansione dei servizi e quindi si garantiscono i diritti dei bambini e delle famiglie ma al prezzo di condizioni lavorative degli operatori al limite della sussistenza. In molti casi non si può non parlare di sfruttamento, seppur legalizzato.
Se noi pensiamo alla comunità nel suo insieme, la possibilità che abbiamo, come Ente locale, di offrire un numero maggiore di servizi educativi , rischia di tradursi in file agli sportelli dei servizi sociali con persone - e non solo agli stranieri - che per la crisi e/o per le concrete condizioni contrattuali di lavoro fanno fatica ad arrivare a fine mese.

Quali sono state, in concreto le scelte effettuate?

Cerchiamo di considerare questo aspetto nel momento in cui facciamo le gare. Stiamo lavorando in questi giorni all’affidamento di trecentocinquanta posti nido nella nostra città e abbiamo strutturato la gara tenendo conto di una diminuzione del peso specifico del ribasso d’asta, mettendo invece dei riconoscimenti di punteggio abbastanza alti per chi si impegna a stabilizzare il personale e a introdurre migliorie rispetto alla contrattazione nazionale, che viene naturalmente, richiesta come requisito minimo. Questo per dire che l’equilibrio del sistema - cioè il tema della sostenibilità nei sistemi misti - non può essere pensato, affrontato e risolto dentro al sistema stesso, ma avendo la capacità di guardare oltre: guardare agli effetti indiretti e apparentemente scollegati dalle scelte che si effettuano. Quindi porsi la domanda: “Chi paga i minori costi del nido convenzionato o appaltato?” penso che sia importante.

Questo vale anche per i nidi aziendali?

Questa riflessione ci ha portato, dal punto di vista organizzativo e gestionale, a fare percorsi nuovi quali quelli dei nidi aziendali-territoriali. A molti fanno arricciare il naso; in realtà noi abbiamo constatato che questi nidi hanno un loro senso e anche una loro funzionalità. Dal punto di vista economico, noi chiediamo che la realizzazione dell’immobile sia sempre e totalmente a carico dell’azienda. Chiediamo anche, come previsto dalla legge regionale, che una parte dei posti sia riservata a bambini che non siano figli di dipendenti.
Le aziende hanno capito che la scelta di aprire un nido è valutata molto positivamente dai dipendenti e dalla comunità di riferimento: è una scelta, e lo dico in senso positivo, che “fa immagine” quindi, dopo un momento iniziale di perplessità hanno risposto positivamente a questa richiesta . Molti interpretano tale scelta, e questo ci ha fatto molto piacere, come un restituire al territorio quanto dal territorio è stato preso. E’ una pratica significativa di responsabilità sociale di impresa.
Come articolate le vostre convenzioni?

Attiviamo convenzioni in base alle quali si definisce la quota di posti aziendali e la quota di posti riservati all’Ente locale, introducendo poi un elemento di flessibilità che consente all’Ente locale di usufruire anche di posti eventualmente non utilizzati dall’azienda. Sono, per così dire, convenzioni “a fisarmonica”, cioè di anno in anno valutiamo, in relazione alle domande, quanti posti sono per i dipendenti e quanti per il territorio. Le cose stanno funzionando.
L’Ente locale ne trae il vantaggio economico derivante dall’impegno che l’azienda mette nella edificazione del nido e dal contributo al funzionamento dei posti ad essa riservati. Dal punto di vista politico credo che il modello sia accettabile nella misura in cui riesce a stare dentro a un sistema misto e, quindi, a funzionare sulla base degli standard individuati non per una parte di nidi di quel sistema , ma per il sistema nel suo complesso.

E a proposito dei servizi integrativi?

È l’altro aspetto sul quale stiamo lavorando. Si tratta, come è noto, di quei servizi ai quali i bambini possono accedere con un adulto, con i genitori o con i nonni. E questo è un altro aspetto interessante. Di primo acchito si potrebbe pensare che un servizio di accoglienza educativa nel quale i bambini sono accompagnati da un adulto (e non possono permanere da soli nel servizio, come avviene invece nel nido tradizionale) sia un servizio poco utile. In realtà non è così. Si tratta di servizi richiestissimi e affollatissimi perché riescono a rispondere ad un altro bisogno - tutto educativo - che è il bisogno di vincere la solitudine nella relazione educativa. Questo era rilevabile anche prima dell’attuale situazione di crisi economica, quando cioè il lavoro non aveva subito l’attuale battuta d’arresto.
Già a partire dai primi mesi di vita, i servizi integrativi diventano luoghi in cui si socializzano in modo informale, ma non per questo meno significativo, le tematiche educative che rappresentano ancora ambiti sconosciuti ai più, compresi i genitori.

Che cosa intende per tematiche educative?

Intendo i modi e la possibilità di leggere i comportamenti, le richieste, i bisogni inespressi di tuo figlio, soprattutto quando tuo figlio è il primo bambino piccolo con cui hai a che fare nella tua vita. Questi luoghi diventano contesti, dove basta la presenza di un educatore, in cui finalmente le mamme ed i papà, ma anche le nonne, riescono ad esplicitare ed affrontare questi temi. E sono luoghi importantissimi che rappresentano veramente il primo momento nel quale un genitore suo figlio nel gruppo. Lo vede da un altro punto di vista, ne vede le possibilità e le eventuali difficoltà, ha la tranquillità, magari davanti ad un caffè preso alle dieci di mattina con altre mamme e papà, di esporsi, di chiedere, di confrontarsi, di uscire da quella idea del figlio perfetto che innesca le ambizioni di essere un genitore perfetto ….e per questo destinato al fallimento.

Si tratta di servizi che costano poco …

Sono servizi che costano poco, ma hanno un ritorno che crediamo importante seppur difficilmente misurabile. Sono luoghi dedicati, contesti contenitivi interessanti dove il tempo davvero cambia. Diventa un tempo capace di accogliere ciò che non trova accoglienza da nessuna altra parte.
Sono servizi definiti da politiche “leggere” che arrivano alla gente in modo non diretto, che non hanno l’impatto forte del nido, sono poco costose, si diffondono con il passa parola e attraverso modalità veramente differenti da quelle tradizionali. Sono tuttavia politiche che arrivano al cuore, non di tutti i problemi naturalmente, ma del problema educativo. Il nostro scopo è di mettere i genitori in relazione fra loro e consideriamo questo progetto capace di creare coesione sociale, ripristinare “reti corte”, svolgere un’azione di prevenzione di molti fenomeni che stiamo osservando già nelle scuole dell’infanzia dove, una certa idea della prestazione infantile, sta mettendo in secondo piano le dimensioni relazionale ed interattiva essenziali per cresce e imparare.

Il comune di Modena propone anche il nido ‘flessibile’: di che cosa si tratta?

L’altro aspetto sul quale abbiamo lavorato molto quest’anno è il nido che noi abbiamo chiamato “nido anticrisi”. Abbiamo in città un problema di disoccupazione (o di inoccupazione) che comincia ad essere importante. Lo scorso anno abbiamo registrato un aumento delle rinunce al nido, in corso d’anno, determinato da ragioni economiche. La maggiore disponibilità di tempo di uno dei due genitori, dovuta a licenziamento, cassa integrazione, inoccupazione e la minore disponibilità di risorse economiche determinava l’innalzamento de numero delle rinunce.
Questo fenomeno non ci piace perché scarica sui bambini le difficoltà generali, quindi abbiamo messo a disposizione dei posti a frequenza solo antimeridiana (o, in alcuni casi, solo pomeridiana) che il bambino può frequentare. Abbiamo reso possibile le due opzioni - mattina o pomeriggio- con o senza il pasto. I genitori hanno gradito molto. Abbiamo rilevato che hanno aderito a questa opzione persone cassintegrate o con altre difficoltà che tuttavia ritenevano importante che il bambini non interrompesse la frequenza al nido.

Per completare il panorama: qual è la vostra posizione in relazione alle “sezioni primavera”?

Le sezioni primavera, seppur molto giovani, hanno, per così dire, fatto il loro tempo. Non sono finanziate. A Modena eravamo partiti con la realizzazione di due sole sezioni che si sono rivelate essere, di fatto, una risposta agli anticipi della scuola dell’infanzia. Sono però un corpo estraneo al nido ed un corpo estraneo alla scuola dell’infanzia. Dal punto di vista dei costi sono assolutamente vantaggiose, ma noi continuiamo a pensare che se a due anni occorre ancora un adulto ogni sei o sette bambini, diventa difficile sostenere che dopo due mesi ne basti uno ogni venti e che ancora dopo ne basti uno ogni ventotto.
Occorre ragionare sui rapporti educatori/bambini in una logica 0/6, senza sostenere l’impossibilità del cambiamento, ma anche cercando di costruire i cambiamenti con una logica centrata sulle esigenze dei bambini e non sulla organizzazione tradizionale dei servizi.
Si potrebbe pensare ad aggiustamenti del rapporto educatori/bambini in una progressione che consideri, in modo dinamico, il punto di vista del bambino: il gruppo che si allarga in relazione ad una autonomia anche cognitiva più accentuata, allontanamenti graduali dalla figura adulta di riferimento, valorizzazione della risorsa costituita dai pari. Questo non avviene oggi, in quanto, da un lato, stanno le teorizzazioni pedagogiche e, dall’altro, i conti sulla sostenibilità economica dei servizi
Si tratta di un limite da superare: il tema, infatti, è sensibile se pensiamo a quanto alta sia l’incidenza del costo di personale sul costo complessivo del servizio ma anche a quanto rilevante sia il numero di bambini accolti in ciascuna sezione, rispetto alla efficacia del progetto educativo, soprattutto se i bambini hanno due anni.



Tipologia di servizio


Nidi comunali • 16 nidi
• 53 sezioni
Accolgono:
• 153 piccoli
• 341 medi
• 484 grandi
• Per un totale di 936 bambini
Centri gioco comunali 3
Accolgono: 50 bambini
Spazio bambini comunale
Accoglie: 12 bambini grandi

Nidi convenzionati • 33 nidi
• 58 sezioni
Accolgono:
• 11 piccoli
• 335 medi
• 428 grandi
• Per un totale di 774 bambini


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