martedì 15 giugno 2010

Mutamenti in atto nella scuola primaria e dell'infanzia.

Intervista a Nadia Bonora
A cura di Bijoy M. Trentin e Emanuela De Luca


Solo la scuola che sa valorizzare le ‘buone pratiche’ (interconnesse con teorie scientificamente fondate) potrà essere motore propulsivo per la crescita culturale e economica del paese: la scuola che procede con i tagli (accompagnati a solerti offensive contro la pedagogia e la didattica) potrà solo accentuare i contrasti socio-culturali. Contrariamente ai pluralismi decolonizzanti dei modelli innovatori e democratici, l’uniformismo soggiogatore delle disposizioni retrive e anti-comunitarie mira a minare alla base la mission della scuola pubblica. I mutamenti in atto nella scuola italiana stanno ridisegnando l’impianto della formazione e dell’istruzione fin dalle basi: è necessario che le trasformazioni siano condivise e considerino centrali le necessità cognitive e emotive dei discenti, nel complesso contesto della Società della Conoscenza, in cui emerga il senso della cooperazione e della comunità in contrapposizione all’ideale della competizione cannibalesca. Il confronto e il dialogo tra i molteplici punti di vista non si può stemperare in un panorama omogeneizzante, ma si deve rendere vivace in un orizzonte anti-autoritario.
Sulla direzione dei mutamenti in atto relativi in modo specifico alla scuola primaria e dell’infanzia abbiamo intervistato Nadia Bonora (http://www.unibo.it/docenti/nadia.bonora), Supervisore di Tirocinio presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bologna. [B.M.T.]


Con la Riforma Gelmini, che cosa sta cambiando? Che cosa cambierà soprattutto nella formazione dei docenti?

Nella formazione iniziale, i futuri docenti frequentano un corso che fino ad ora è stato quadriennale, però esso è a termine, perché è prevista la riforma, che in questo caso noi consideriamo positiva perché il nuovo corso sarà quinquennale a ciclo unico, quindi un corso “anormale” rispetto al discorso sul 3+2. È un corso che riconosce l’importanza della formazione di un buon livello, anche perché quinquennale, per quelli che saranno i futuri insegnanti della scuola dell’infanzia e di primaria. E noi, come supervisori di tirocinio, abbiamo considerato questa decisione estremamente rilevante, perché ha tenuto insieme la formazione degli insegnanti della scuola dell’infanzia e primaria e l’ha parificata in termini quantitativi alla formazione di un insegnante di scuola superiore, dando così un valore paritario alla formazione iniziale dei futuri docenti, dalla scuola dell’infanzia fino alla scuola superiore. Quindi noi diamo un parere estremamente positivo per questo specifico aspetto. L’altro aspetto, più di merito, è che nel futuro corso saranno previste ancora le attività di laboratorio e di tirocinio, oltre a quelle teoriche di insegnamento. Perché? Perché, sulla base dell’esperienza decennale, si è visto che questi momenti formativi, svolti durante il percorso di studi degli studenti, creano un circolo virtuoso tra teoria e pratica e viceversa; infatti, gli studenti, con la partecipazione ai laboratori si mettono in gioco nel costruire appunto competenze specifiche pedagogiche e disciplinari e con il tirocinio nelle scuole con i bambini si esercitano nella pratica professionale.

Quali sono le peculiarità delle attività laboratoriali?

Le attività di laboratorio afferiscono agli insegnamenti teorici, quindi riguardano le aree pedagogica, psicologica e antropologica, dove però gli studenti incrementano capacità di tipo pratico. Faccio un esempio: nel laboratorio che conduco io, che è di area pedagogica, i ragazzi imparano a progettare dei percorsi didattici. Così è anche in àmbito psicologico, dove gli studenti, per esempio, si esercitano rispetto all’osservazione delle relazioni tra i bambini, tra i bambini e l’insegnante. E poi, ci sono i laboratori delle discipline: il laboratorio d’italiano, laboratori d’arte, matematici, che danno, quindi, una formazione pratica significativa e specifica. Ecco, poi, è chiaro che la professione dell’insegnante è talmente complessa che questa prima formazione può essere una buona base per consentire a questi ragazzi che entreranno a scuola di avere un buon bagaglio di competenze iniziali.
Quindi, per quanto riguarda il nostro àmbito, siamo soddisfatti, da questo punto di vista. È stato un risultato estremamente importante perché in controtendenza rispetto a tutto il resto e perché portato avanti prima di tutto dai presidenti delle varie facoltà, dai docenti, dai supervisori di tirocinio, che insieme hanno detto “O si fa così, oppure la riforma costruisce un percorso che non è adeguato”. Qual è il problema? È che questo nuovo corso, che doveva partire già da tempo, richiede delle risorse. E, quindi, si dice che dovrebbe partire dal 2010-2011, ma finché non saranno definite le risorse non so che cosa succederà, e in un momento come questo, di crisi economica generalizzata, in cui c’è una manovra economica che taglia in maniera veramente indiscriminata soprattutto l’àmbito scolastico e universitario, non lo so … quindi forse si continuerà con questa proroga e si proseguirà col corso quadriennale. Siamo nelle mani di Tremonti.

E in quest’ottica di tagli, quali tipologie di docenti ne risentirà di piú?

Non esiste un quadro specifico per il nostro corso, diciamo che si parla di facoltà. Per quanto riguarda la scuola, invece, abbiamo delle norme più specifiche che sono già intervenute pesantemente nell’andare a modificare quello che è il modello scolastico della scuola primaria. La riforma Moratti, prima, successivamente la riforma Gelmini, la chiamiamo così ma è un intervento di taglio prettamente economico travestito da riforma…

Si riferisce al tempo prolungato, lungo, al maestro prevalente ecc.?

Al maestro cosiddetto prevalente, ma prima di tutto al maestro unico, perché il ministro aveva esordito con questa grandissima innovazione – a suo modo di vedere poteva anche esser vera – di fatto non è stato possibile realizzarlo perché c’è un travisamento, un intrecciarsi di innovazione con dei tagli: è difficile innovare quando togli delle risorse. Per cui l’idea del maestro unico si è innestata nel taglio economico, il che ha significato avere, laddove funzionava il tempo-modulo 3 insegnanti su 2 classi, togliendo dell’organico, meno insegnanti sulle classi. E questo ha voluto dire andare a prendere delle ore in prestito laddove c’erano. Quindi cosa si è verificato? Proprio il contrario di quello che voleva il ministro: invece del maestro unico, che poi si è corretta e ha definito “prevalente”, si è verificato che nelle classi abbiamo una pletora di insegnanti. Bambini di prima elementare che vedono sei, a volte sette insegnanti, perché la logica è quella dello spezzone d’orario. C’è l’insegnante prevalente ma tutto il resto del tempo scuola viene coperto da altri insegnanti che faticano a rientrare in un progetto educativo complessivo.

In pratica dei ‘tappabuchi’?

Esatto, i dirigenti scolastici si devono destreggiare – e fanno anche bene perché devono dare una risposta in termini di servizio – e devono andare a recuperare le ore laddove ci sono, e dove sono queste ore disponibili? Sono le cosiddette ore di compresenza; il modello del tempo pieno e anche il modello del tempo modulo si poggiava sul fatto che, avendo una scuola complessa con delle classi numerose e di composizione eterogenea, richiedeva dei momenti in cui la classe potesse essere smembrata. Se tu togli queste compresenze perché devi andare a tappare i buchi, la classe rimane sempre al suo massimo numero e quindi tutti quegli aspetti qualitativi di interventi di individualizzazione, di aiuto, di sostegno, pian piano vengono a decadere e quindi gli effetti di questa manovra economica sono poi questi: che concretamente i bambini si trovano ad avere meno qualità della scuola.

Passando alla valutazione in decimi senza il giudizio: essa ha forse ha creato problemi con i bambini? Come ha reagito la scuola? E i genitori?

Io mi sono formata in questa facoltà e ho avuto la fortuna di avere come docente il prof. Gattullo, che è stato un eminente docimologo, e quindi mi sono formata da questo punto di vista nell’idea che la misurazione e poi la valutazione debbano tener conto di tutta una serie di considerazioni che difficilmente sono poi esprimibili in un numero. Su questo aspetto, cioè sull’importanza della misurazione e della valutazione articolata, c’è stato grande rinnovamento nella scuola che ha visto la nascita di modalità di valutazione diverse che tengono conto delle situazioni diversificate degli alunni, con l’idea che si debba valutare la stessa scuola, lo stesso processo educativo. Ecco, la nuova/vecchia valutazione, un vero stravolgimento di tipo pedagogico, ha creato un impatto molto forte laddove le scuole, gli insegnanti avevano costruito una modalità di valutazione appunto diversa, articolata. Quindi c’è stato un impatto forte nell’àmbito pedagogico, che a volte si è scontrato con momenti anche di difficoltà, nel senso che a Bologna abbiamo avuto anche alcune scuole che hanno deciso di non adottare questo tipo di valutazione numerica, quantitativa, e hanno dovuto subire anche una serie di ispezioni. C’è da dire una cosa: si nota un certo conformismo da parte dei docenti delle scuole come istituzioni, perché la legge dell’autonomia scolastica consente agli istituti di essere appunto autonomi e quindi di adottare le strategie che ritengono più opportune. A mio avviso, alla fine, c’è stata un’accettazione; dato che i fronti di contestazione sono stati tanti nei confronti delle misure che ha preso il ministero, forse questo è stato l’aspetto che è stato più tralasciato dalla protesta della scuola.

Si poteva essere più incisivi da questo punto di vista?

Secondo me sì. Perché, ripeto, abbiamo appunto l’autonomia scolastica che ci consente di fare questo. Probabilmente, essendoci tanti fronti di contestazione, questo lo si è un po’ tralasciato.

Proprio l’aspetto di tipo didattico viene messo tra parentesi?

Perché, io dico, che alla fine l’apprendimento si traduca in un numero può anche starci, ma è tutto il processo valutativo che devi tenere in considerazione.

Però dietro la proposta della valutazione in decimi c’è proprio un’ideologia ben diversa, di tipo anche punitivo.

Di tipo punitivo o comunque limitante, perché come fai a valutare un bambino di sei anni con un sei o con un cinque? Io credo che, dal mio punto di vista, come pedagogista e come insegnante, sia estremamente difficile.

I genitori, probabilmente, invece, pensano di orientarsi meglio con questo tipo di misurazione perché i loro ricordi risalgono alle scuole superiori. I bambini e le loro famiglie possono interpretare la valutazione anche in modi diversi. A un certo tipo di esperienza scolastica e di vedere e di vivere questa esperienza scolastica forse è collegata questa voglia di tornare alla valutazione in decimi di questo tipo?

Le famiglie, come dici tu, si sono un po’ ritrovate. C’è un ricorso al proprio passato. Io credo di vedere anche questo aspetto nelle famiglie. Cioè esse sono più preoccupate che venga a mancare il servizio, che venga a mancare l’insegnante, l’aspetto della valutazione è molto pedagogico, più didattico, è per questo che mi sarei aspettata dagli insegnanti una tenuta più salda.

E anche dai dirigenti? O i dirigenti vengono invitati invece ad avere delle condotte più diligenti anche per le questioni didattiche anche a fronte dell’autonomia?

I dirigenti, non a caso, ora sono definiti “manager”, perché a loro non sono più tanto richieste competenze di tipo didattico quanto competenze organizzative, gestionali. E i dirigenti, adesso, sono anche zittiti dal nostro direttore generale… L’insegnante che fa presente le problematiche della scuola alla società, alla famiglia, ecc. metterebbe in cattiva luce la scuola, questo è incredibile perché il ruolo dell’educatore è proprio quello di far presente certe cose, di sviluppare lo spirito critico…

È quella dell’intellettuale: dovrebbe essere questa la sua funzione.

C’è anche un altro elemento: vi è l’idea dell’insegnante, del dirigente come di un dipendente tout-court, al quale si chiede una obbedienza, un ruolo esecutivo, ma non può essere così poiché l’insegnante ha, invece, il ruolo di costruire delle scelte, formare delle persone aperte, non dei cloni.